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L’Olivo dei crociati, Giuseppe D’Avanzo

Un percorso ecosostenibile alla scoperta del paesaggio rurale di Cicciano (NA)

La città di Cicciano, in provincia di Napoli, ha da sempre avuto una forte vocazione agricola. I suoi territori fertili venivano sfruttati per l’agricoltura sin da epoca romana, come è accertato dai resti della centuriatio romana, che consisteva nella suddivisione in maniera regolare e organizzata di un territorio agricolo da destinare a nuovi coloni, spesso legionari a riposo. Nel Settecento lo sfruttamento agricolo del territorio aveva raggiunto il suo apice. Il Catasto Onciario di Cicciano ha permesso di ricostruire il contesto socio-economico della cittadina: l’economia si basava soprattutto sul lavoro agricolo e su altre attività più o meno legate alla terra e all’agricoltura. Infatti, su 564 lavoratori – tutti uomini – 356 (il 63%) si occupavano di agricoltura o allevamento e tra questi ultimi 301 erano bracciali e 21 erano massari. La categoria dei bracciali, o braccianti, era quella economicamente più debole: così come accadeva nel resto del Regno, i braccianti a Cicciano vivevano in una precaria condizione economica e sociale e il loro livello culturale era bassissimo. Sappiamo che più del 21% di questi lavoratori era privo di beni. Su di un gradino superiore a quello occupato dal bracciale era il massaro, o massaio, cioè il coltivatore del manso, ossia un piccolo lotto agricolo. I massari di Cicciano talvolta possedevano piccoli terreni, in qualche caso tenuti a censo o in affitto, che consentivano loro una certa indipendenza economica. Anche il possesso di animali poteva contribuire al patrimonio economico di questa categoria: in particolare alcuni di loro, i cosiddetti massari di animali, traevano guadagni dall’impiego del loro bestiame nelle varie fasi del lavoro campestre. La figura del massaio a Cicciano poteva essere associata dal punto di vista sociale – ma non economico – a quella del bracciante: a differenza degli altri massai del meridione, che vivevano in famiglie estese e multiple, i massai di Cicciano vivevano in una famiglia di tipo nucleare. Infatti, su 15 famiglie, 12 erano caratterizzate da una struttura nucleare, mentre solo in 2 casi su 15 il massaro ciccianese accoglieva sotto il proprio tetto altri componenti familiari, come ad esempio le famiglie dei propri figli. La condizione dei massai a Cicciano non era, quindi, molto diversa da quella dei braccianti: entrambi vivevano in una famiglia nucleare e avevano un rapporto di chiusura verso gli altri ceti sociali. Solo dal punto di vista culturale questa classe di lavoratori agricoli mostrava una condizione più elevata rispetto a quella dei braccianti: sappiamo, infatti, che 3 persone su 15 erano in grado di scrivere, compilare e firmare la propria rivela. Per quanto riguarda l’ubicazione delle aree agricole bisogna considerare che i terreni coltivati si estendevano tutt’intorno al castro, meno la zona collocata a sud della fortezza, che era priva di campi. Questo perché quest’area era attraversata dal fiume Clanio e, quindi, occupata da acque superficiali e malsane, che non permettevano di sfruttare il suolo per nessun tipo di coltura. A conferma di questo giunge il toponimo della zona, che era denominata Paludi oppure Sciummo. Nel Catasto Onciario erano distinte le seguenti aree agricole distribuite tutte intorno l’abitato, secondo un’organizzazione presente già nel Medioevo: Fellino, Pasquarano, Limmata e Marisco, in direzione di Capua; Li Marenna, la Starza Nova e Sant’Antonio in direzione di Sasso; San Barbato, Lo Molimiento e Lo Pastiniello, in direzione di Roccarainola; infine la zona detta Paludi e Sciummo in direzione di Nola. Questi terreni erano prevalentemente coltivati in modo promiscuo, cioè associando nello stesso campo diversi tipi di colture, come quella degli ortaggi insieme a quella delle viti e degli alberi da frutta, in quanto l’esigenza dell’autoconsumo familiare spingeva a praticare questo tipo di coltura: tra i 14 tipi di coltura individuati nel Catasto Onciario di Cicciano questa combinazione è quella prevalente, occupando più del 24% dell’estensione totale dei terreni. La cittadina di Cicciano e il suo paesaggio agrario erano quindi contraddistinti, fino almeno agli inizi del secolo scorso, dalla grande produzione di vino e frutta, prodotti che erano alla base del commercio ciccianese. La produzione di vino era particolarmente sviluppata: il vino, infatti, era utilizzato sia come un apporto energetico nella dieta alimentare dei contadini, sottoposti al duro lavoro nei campi, ma anche come un prodotto da commerciare, essendo molto richiesto dal mercato.
Il territorio ha conservato la caratteristica di area rurale fino a pochi decenni fa, quando i terreni sono stati parzialmente abbandonati e le attività agricole sono diminuite drasticamente. Oggi, tutta la realtà storica sopra descritta è sconosciuta ai più, conservata nei ricordi degli anziani del paese e salvaguardata dagli scritti dei pochi studiosi di storia locale. Per tale ragione, ho ritenuto utile dare un piccolo contribuito alla diffusione della conoscenza di questa parte del nostro passato: attraverso l’applicazione Google Maps ho realizzato un itinerario personalizzato di circa 10 km da percorrere in bicicletta, guidati dal navigatore, alla scoperta del paesaggio agricolo e delle masserie di Cicciano ancora esistenti. Il percorso – disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.google.com/maps/d/edit?mid=1B8OJBs5NvdrfB-yx_jXc4nmyzYMy8A8&usp=sharing – inizia da corso Garibaldi all’incrocio con via Matteotti; prosegue lungo via Matteotti e via Pertini fino ad arrivare all’altezza del numero civico 58 dove è prevista una sosta. Qui, infatti, si può raggiungere a piedi, attraversando un noccioleto privato, il luogo con coordinate GPS 40.969444 14.537500 in cui è possibile ammirare il cosiddetto Olivo dei crociati, forse l’albero più antico presente in Campania, appartenente ad una varietà di cui in Italia sono stati censiti solo 4 esemplari. Si tratta, infatti, di un albero di olivo la cui età stimata è di 1600 anni, con un’altezza di 15 metri e una circonferenza del tronco di circa 6 metri. Ritornati sulla strada, riprendiamo il percorso seguendo via Sandro Pertini in direzione della località Sasso, si continua su via Madonnelle, e si gira su via Fosso; dopo circa 700 metri si svolta per la strada vicinale Marisco e si prosegue fino a raggiungere il cancello di accesso alla Masseria Ravelli. Ubicata su di un terreno piano ai piedi del monte Fellino, si presenta come un organismo edile a corte costituito da un grande cortile interno centrale e da fabbricati disposti intorno. Il basamento del portale di accesso riporta la data 1869, ma il complesso compare già in una carta topografica del 1817. Il fabbricato principale, a nord, è costituito da due corpi addossati: uno destinato ad abitazione, l’altro adibito a cellaio per il vino. Il fabbricato ad ovest presenta tre ambienti, probabilmente usati come stalle per animali, e l’entrata della galleria che conduce alla cantina. Il nostro percorso prosegue verso il Santuario della Madonna degli Angeli e continua fino ad arrivare all’incrocio con la strada Provinciale di Nola; qui si gira in direzione di Polvica e si prosegue per circa 800 metri, per poi raggiungere, attraversando un sentiero, il punto di coordinate GPS 40.972990 14.513706, dove è possibile ammirare i resti della Masseria Bifulco. Ritornando sulla strada principale si gira lungo la strada vicinale Starza e la si percorre fino a raggiungere i resti della Masseria Barone. Il percorso prosegue lungo via Tavernanova e infine lungo la strada Contrada Tavernanova fino a raggiungere la Masseria Serraglio. Quest’ultimo edificio conserva ancora oggi quasi tutti gli ambienti originari, anche se attualmente si trova in un cattivo stato conservativo. Si tratta di una grande masseria con numerosi vani presenti su due livelli. L’importanza della masseria è data dall’esistenza al suo interno di una cappella, detta di San Silvestro, il cui portale d’ingresso affianca quello principale che conduce nella corte. La masseria ha la particolare caratteristica di avere, oltre alla suddetta cappella, l’affaccio verso la strada, un piano superiore ed infine una grossa ala separata dal resto della fabbrica che chiude il lato orientale del grande giardino. Entrando all’interno della corte è possibile vedere il forno, il lavatoio comune e l’ingresso di un grande cellaio caratterizzato da una struttura ad archi impostati su grossi pilastri. Secondo i racconti degli anziani contadini della zona, la cappella di San Silvestro, un tempo, godeva di una sorta di diritto d’asilo, in base al quale i fuggiaschi potevano rifugiarsi in essa per non essere catturati dalle forze dell’ordine. Lasciata alle nostre spalle la masseria, ci dirigiamo in direzione del Rione Gescal e percorriamo prima via delle Camelie e poi via degli Oleandri raggiungendo la strada di accesso ai resti della Masseria Ordella. L’edificio era un tempo impostato intorno ad una piccola corte a cui si accedeva attraverso un portale i cui resti sono ancora sul posto. L’arco dell’antico portale fino a pochi decenni fa mostrava incisa in chiave di volta data 1810. La masseria era caratterizzata da una seconda apertura sulla campagna retrostante, dalla mancanza di locali legati alla produzione di vino, come palmenti o cellai, e dalle notevoli dimensioni della stalla rispetto al resto della costruzione. Erano poi presenti un pozzo, un lavatoio e un forno situato sul retro della casa. Il nostro percorso all’insegna della conoscenza e della valorizzazione del territorio ciccianese termina con il rientro in piazza Mazzini.