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Senza titolo, Gianni Grattacaso

1. Premessa
La mostra Pietas nasce dalle riflessioni del filosofo austriaco Paul Liessman sul come la pratica della Cancel Culture stia interessando la società contemporanea occidentale. Pietas scaturisce dalla volontà di opporsi agli effetti perversi dell’amnesia collettiva provocata dall’adesione incondizionata alla cultura “woke”, dove la difesa delle minoranze diventa portatrice di una ideologia intollerante per principio. Una volta di più gli artisti si trovano a esprimere collettivamente, in opere di forte impatto visivo, la necessità di avere coscienza della storia culturale di cui facciamo parte, sebbene ci sovrasti, e ne ripercorre il passato e il presente con stratificazioni fatte di esperienze e memoria, individuali e collettive.
La coscienza della nascita di un età nuova, con caratteri opposti a quelli dell’età precedente, è uno degli aspetti tipici della cultura del secolo precedente. Oggi gli artisti vagabondano in uno spazio temporale tra vecchio e nuovo modello di pensiero, necessario in un secolo come quello attuale, che ha prodotto senza dubbio figli delle generazione Zeta e Alpha, dove la libertà di ognuno non ha più prospettive di libertà di critica e di dissentire da un modello altro. Si tratta, in realtà, di una coscienza polemica da parte dell’artista che non costituisce ovviamente un nuovo modello, ma ne considera alcuni aspetti: è precisamente una volontà di ribellione, un programma di distacco da un modello non condiviso che cerca altre forme e diverse soluzioni comunicative attraverso l’opera d’arte.
L’Osservazione diretta della storia e della elaborazione di leggi universali caratterizzano anche un nuovo approccio degli artisti che hanno lavorato intorno al tema della cancel culture. Siamo dunque di fronte ad artisti sensibili che guardano alla storia con infinito senso critico, e che conservano anche segni, simboli, letture e riletture di un passato che ha segnato alcuni nuovi processi di concezione e di rivoluzione di del concetto d’arte. Queste considerazione le troviamo nella consapevolezza del lavoro presentato a Roma nel febbraio del 2024 in occasione della mostra Pietas, tenutasi nella galleria del Forum di Cultura Austriaco.

2. La traccia tematica
Sentirsi parte della storia. Abitare il proprio tempo. Vivere la contemporaneità con animo lucido e lungimirante: è questo il “dovere” degli artisti; è questa la forza motrice di Pietas! Una collettanea di quelle dense, vive, entusiaste e progettuali; dove la trasversalità e la differenza di stili degli artisti e delle artiste coinvolte è un ulteriore segno di potenza espressiva. Anzi, è atto di necessità. Il tema motore della “pietas” è matrice iconografica da sempre dentro il respiro dell’arte nel corso dei secoli.
Infatti, il concetto di pietas è un tema iconografico dell’arte che ha avuto molte rappresentazioni nel corso dei secoli. Nell’arte classica romana, la pietas era valore fondamentale che rappresentava il rispetto e l’attenzione per gli altri, la devozione verso gli dei, l’amore ed affetto per i genitori ed i figli, la patria e gli amici, la clemenza, la giustizia e il senso del dovere. In ambito teologico, la pietas descrive l’affetto, il rispetto e l’obbedienza che il credente ha per Dio e per le cose sacre: l’immagine di Cristo crocifisso o della sua deposizione, con la Madonna e altri vari personaggi sulla scena. Ma non solo.
È il simbolico di quella “pietas” ad essere tensione costante. Dalla centralità michelangiolesca in poi l’arte contemporanea ha trovato estremo terreno fertile lo scandagliare la pietas; ora verso la stretta iconografia, ora verso le questioni esistenziali; oppure come il tema si relaziona alla società e come viene utilizzata per esprimere dissenso, critica e nervo politico.
In questa densa collettiva ritroviamo in pieno il concetto di pietas (nel suo definirsi verso la devozione, il rispetto, l’attenzione per gli altri, la sofferenza, la morte ma anche come tema del contemporaneo verso quell’amnesia di cui si scrive nella premessa). L’esplorazione è vasta, articolata. C’è la dimensione performativa, quella video, quella fotografica, tutti attraversamenti d’artista tesi ad esplorare anche il tema della coscienza e della fragilità.

3. I nomi
Karin Pfifer è dentro il processo della contaminazione tra video e fotografia che, utilizzando la tecnica del rallenty, racconta di una lentezza che deflagra verso una sorta di angoscia frenetica. Nel lavoro affronta delle posizioni che mostra nella sua serie di opere dal titolo “time out”. Nella traiettoria intrapresa l’artista osserva alcune dinamiche di trasformazione in un presunto rallentamento dell’abbronzatura che si riduce all’assurdità quando, a un esame più attento, la sabbia si rivela neve. Il primo esempio di dolce far niente si trasforma in un frenetico scenario di allarme.
Sula Zimmerberger utilizza il piano metaforico delle nuvole come spazio semi-magico del trascorrere del tempo. Nella sua opera “If I could fly I would live in the sky” ci fa riflettere nel ripercorrere, attraverso l’osservazione delle nuvole, quelle sensazioni oniriche tra sogno e realtà, rivelandoci che il significante mistero non è nient’altro che parte di particelle d’acqua che fluttuano liberamente in uno spazio naturale dell’atmosfera, considerandole dei veri e propri simboli ambivalenti nell’arte – allo stesso tempo per l’ozio senza tempo e per il cambiamento critico del tempo -, strutture fantastiche che si muovono e continuano il loro naturale processo di mutamento in cui nessuna nuvola assomiglia all’altra, incarnando cosi l’idea di conformismo indotto da un sistema lineare e organizzato della nuova società.
Gianni Grattacaso, attraverso il dispositivo fotografico, affronta il tema nodale della Cancel Culture in un continuo alternare emozioni e sensazioni. Da sempre affascinato dalla sperimentazione tra fotografia e mix media, esplora il fenomeno della cancel culture attraverso quattro fasi evolutive dell’opera. L’artista rielabora in ogni singola opera fotografica un singolo viaggio attraverso quelle sensazioni che ci riportano a emozioni fluttuanti, con le loro controindicazioni delle criticità di un mondo da sempre più plasmato da processi culturali, che procedono verso quella deriva senza più ritorno come nell’opera iconica nel mezzo della tempesta dal titolo “Vento Sociale”, tra gli alberi piegati che non arrestano e non cedono spazio alla maestosa potenza della natura.
Costabile Guariglia sceglie la dimensione performativa dove il corpo, la convivialità, l’interazione spettatoriale diventano un unico orizzonte di grande impatto e coinvolgimento accompagnando gli ospiti, immersi in una mise en place-installazione, alla sperimentazione di una cena-performance che restituisce loro un’esperienza eccezionale sulle culture dei popoli e il loro cibarsi: un esperienza fisica, sensoriale e sociale di “consumo” dell’arte. L’artista fa in modo che gli ospiti diventino protagonisti della performance attraverso l’atto conviviale in cui vengono consumate le tre pietanze della cena preparata in tre movimenti: piano, lento e adagio; una performance accompagnata da tre sonate dal vivo per pianoforte eseguite dal maestro Paolo Zaumuner. L’artista accompagna i commensali in una “co-azione” artistica che consiste nell’empatizzare con l’altro attraverso un percorso di degustazione e di esplorazione dei linguaggi non verbali.
Maria D’Anna sceglie la performance dove il solco nel proprio privato (dall’infanzia in poi) è un viaggio intimo sussurrato, intimamente dialettico e continuamente spaziante nella sua dinamica di verità. Con la performance dal titolo “La lingua batte dove la lingua duole” si proietta verso una condivisione di esperienze riguardanti la tematica della Pietas; partendo dalla dimensione personale, l’artista intercetta tra i propri ricordi, finanche la prima infanzia, rivelazioni della propria vita intima relative al sentimento della Pietas e ne fa una confessione da sussurrare all’orecchio del singolo spettatore. La performance non è una messa in scena, bensì una situazione in cui l’artista si confida realmente e il cui pathos nasce dall’esistenza umana e la possibilità di un discorso che ne esprima e ne comunichi la verità; perciò l’uso di un dispositivo di registrazione che l’artista aziona ogni qualvolta si confida con ciascuno spettatore e sul quale è stato precedentemente registrato ciò che l’artista gli sussurra all’orecchio.

4. La profondità del visivo.
Pietas è il racconto di 5 storie profonde, di lacerante bellezza ed intensità creativa. Un paesaggio raro entro cui immergersi per ritrovarsi decisamente mutati. Pietas recupera al tempo stesso l’essenza razionale della composizione della visione creativa e al contempo la deviazione ebbra che sdoppia e sfida quel comporre. Il deviare sentimentale costringe l’intelligenza ad assistere alla devianza, a sperimentare, essa cosi rigorosa, le molteplici variazioni del linguaggio visivo e performativo.
I 5 artisti qui selezionali, quindi, svelano e mostrano le infinite ambiguità del linguaggio, la follia sottesa a qualsiasi comunicazione, pure la più innocente. Per fare ciò è sono costretti a una lucidità che ha poco della beatitudine e molto della ricerca.
Un’altra originale ambiguità di questa collettiva è il fatto che Karin Pfifer e Sula Zimmerberger, Gianni Grattacaso, Costabile Guariglia e Maria D’Anna, in quanto legati alla miglior tensione d’avanguardia, non perdono mai di vista una certa “tradizione” che non viene rimossa per il solo fatto che contrasta con i loro principi espressivi, non viene frantumata per ottenerne nuovi mosaici. Ciò che interessa ai 5 artisti, in modo diverso ma consonante, è un dialogare arduo ma fermo per attraversare la crisi della modernità, cosi come si ora si sta rivelando l’arte che, in continuazione, vuol rivivere la modernità stessa, privilegiando nei riferimenti sottintesi il grande sentire delle avanguardie.

La creatività totale (e totalizzante) di Karin Pfifer, Sula Zimmerberger, Gianni Grattacaso, Costabile Guariglia e Maria D’Anna non contempla semplici bricolage, tanto per mettersi a posto con la coscienza e con l’ispirazione a partire dal tema “pietas”. Il fatto è che per loro attraversare il magma espressivo, pure in mezzo a citazioni e suggestioni dirette o indirette, non comporta la stasi della composizione, ma al contrario aggiunge nuovi orizzonti alla ricerca, apre nuove porte; non rassicura, non canta mai compiutamente, ma spezza ogni volta nella fluidità del video, del fotografico, del performativo o delle loro contaminazioni dovute a segni grafici, a sillabazioni, a interruzioni frequenti, il fluire di quel magma. Tutte queste linee di direzione presenti in Pietas sembrano svelare una voce corale appartata, poco trafficata dai luoghi comuni dell’arte contemporanea, ma in grado di smuovere un futuro ancora possibile e di concrete prospettive del divenire dell’arte.