«Non c’è una via per conoscere la fotografia, la fotografia è la via. Quando la fotografia spacca tutte le credulità e denuncia la violenza impunita dei potenti, spezza anche tutti i legami con la soggezione teologale dei governi, delle fedi, delle ideologie e compie un primo passo sulla via del risveglio… poiché nessuna cosa vivente deve essere uccisa, non il più piccolo animale o insetto, perché ogni vita è sacra, diceva quello che prendeva le elemosine in un cranio d’uomo… qualcuno lo chiamava Buddha!
Ogni fotografia è una goccia di verità a fianco degli ultimi o inganno a compiacenza degli stolti…
Dio è morto a Hiroshima e la fotografia del fiore di Loto l’ha sotterrato a Nagasaki, e lì c’è rimasto nell’impudore della sua storia!
Il 6 agosto del 1945, tre bombardieri americani B-29, Enola Gay (quello che aveva il compito di sganciare la prima bomba atomica della storia), Great Artiste (dove gli scienziati analizzavano l’operazione) e Dimples 91 (che si occupava delle riprese cinematografiche), assistettero tra inorriditi e affascinati all’ondata di distruzione sprigionata da una nuvola gigantesca a forma di fungo sulla città di Hiroshima. C’è da dire che la Germania si era arresa il 7 maggio 1945 e l’Italia fascista aveva cambiato padrone… prima stava coi nazisti, ora con gli Alleati… Il Little Boy esplose con una potenza di 13mila tonnellate di tritolo, facendo sull’istante 80mila vittime che divennero 350mila entro la fine dell’anno, e ancora migliaia in quelli successivi. Il 9 agosto ci fu la replica su Nagasaki… i trucidati furono più di 200mila, le bombe atomiche sul Giappone chiudevano l’ultima pagina della seconda guerra mondiale che, come sappiamo, era come sparare agli usignoli mezzi morti dal freddo nei parchi pubblici.
[…] L’iconografia del terrore di Hiroshima si può riassumere non tanto nel massacro generalizzato, nelle contaminazioni della popolazione, negli sfregi dei corpi, nelle ombre lasciate sui muri dalla deflagrazione atomica… quanto nella serialità del male che coniuga il linguaggio del crimine con quello dell’estasi…
Il rispetto dei precetti si porta dietro anche la forca che li giudica, l’assassinio è una fatalità del sapere che si schiude a orizzonti di sangue, promuove vigliaccherie elegiache, discopre ere del terrore dispensate nel fiele delle ideologie, dottrine e mercati globali, lo snobismo dell’economia-politica non conosce frontiere, l’epilogo delle coscienze arrese è l’ultima scena di una farsa spettacolare che ha annegato o internato insorgenze generazionali che chiedevano il bello, il buono e il bene comune!
[…] Del ritratto di donna che stringe in braccio il suo bambino tra le rovine di Hiroshima, preso da Alfred Eisenstaedt nel 1945: madre e figlio sono avvolti in abiti tradizionali, seduti sul tronco di un albero bruciato, non c’è tremore sul volto della donna accarezzato dal vento, neanche lo sguardo del bambino introduce al sopravvissuto, c’è un’antica dignità per qualcosa che nemmeno il fuoco della bomba ha scalfito, una sorta di esulcerazione della verità, la maledizione verso nessun genere di nobiltà d’animo, l’eccidio dell’ingenuità è parte dei disegni economici-politici di governi, partiti e fazioni… e il dileggio della libertà s’accorda sempre con la malvagità che la rammenda!
La fotografia di Eisenstaedt – come ormai sembra essere diventato un eserciziario da ricamo etico-estetico nella fotografia, nel cinema e ovunque un serafino affondi nella manualistica tecnologica i propri vaneggiamenti – è stata colorizzata da non c’importa chi… i verdi, i marroni, i rossi della donna e del bambino sono messi in contrasto con l’albero nero… c’è perfino il tramonto rosato sui monti… una roba da fanatici del pressappochismo d’annata, coglioni della grafica appiccicata alla fotografia… una degradazione del gusto nella quale nemmeno il boia di Londra sarebbe incappato!
Del resto, al fascino della merce non è facile sottrarsi o farne un bottino da esagitati o da reprobi della nullità… il romanticismo degli sciocchi trova sempre buoni clienti che non sanno mai decidersi tra una macchina fotografica o un cesso firmato, sono ridicoli come le scomuniche, ma hanno le loro ragioni… fin quando non sono finite le scorte di demenza non sarà possibile uscire dalle acclamazioni senza remore…».
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