tempo di lettura 10 minuti

Il volume La Rivoluzione degli Eucalipti è stato pubblicato in concomitanza e a corredo dell’omonima mostra dell’artista Nina Maroccolo, tenutasi a Roma presso la Galleria d’Arte Moderna dal 14 maggio al 10 ottobre 2021. Ciononostante, il volume non può essere considerato un tipico catalogo di una mostra d’arte: è stato giustamente definito da Paolo Carlucci un «autentico libro d’arte totale, sinestetico»(1), che contiene al suo interno una sorta di romanzo, scritto prevalentemente in prosa lirica. Tutta la ricerca di Nina Maroccolo è, secondo me, in queste sue storie, espressione di tutta una vita, manifestazione dell’Io e del sentire più profondo dell’artista. Queste stesse storie sono raccontate nel catalogo come delle parabole di Avalokiteśvara, questo essere vivente che nel pensiero religioso buddhista continua a reincarnarsi, sotto la spinta della compassione, per dedicarsi ad aiutare gli esseri umani a raggiungere il nirvana, la liberazione dal dolore. Per meglio comprendere la ricerca artistico-letteraria di Nina Maroccolo, ho ritenuto utile organizzare queste storie in cinque nuclei tematici.
Il primo potrebbe essere intitolato: «La storia, la politica e lo sfruttamento del suolo». La mostra d’arte alla Galleria d’Arte Moderna di Roma è stata realizzata per l’Earth Day 2021, la più grande manifestazione ambientale del pianeta, promossa già a partire dai primi anni Sessanta dal presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy, ma nata ufficialmente nel 1970 per volere delle Nazioni Unite. Nel catalogo è possibile leggere una lettera che Nina Maroccolo spedisce utopicamente al presidente Kennedy per raccontargli di come l’uomo abbia continuato a sfruttare le risorse dell’ambiente senza porsi alcun limite:
«Io spero, presidente Kennedy, che riesca a posare il suo sguardo gentile quaggiù. L’accoglierà il pianto. Ogni luogo è trafitto da guerre e morte. Non esistono quasi più animali, soltanto un 25% votato all’estinzione. Le foreste sono diventate lagune di sterpaglie. Muoiono i gioielli dell’anima nostra. […] E’ la sconfitta dell’Uomo. E’ la nostra sconfitta. Abbiamo un debito con la natura, irrisarcibile»(2).
Per Nina Maroccolo l’uomo deve intraprendere una politica diversa, molto più rispettosa delle limitate risorse del nostro pianeta. Tuttavia, bisogna stare attenti, perché non sempre le azioni a favore dell’ambiente si rivelano tali. Nel catalogo, infatti, è raccontata la storia di Edmundo Navarro de Andrade, politico e agronomo brasiliano, che introdusse gli eucalipti in Brasile riducendo la biodiversità del luogo. Infatti, «in quegli anni il governo statale confermò la silvicoltura venendo a patti con le multinazionali della carta. L’arboricoltura dell’albero della gomma, in mano alle imprese, riempì gli occhi di paesaggi innaturali, distese infinite»(3). Questa politica agricola comportò il prosciugarsi delle sorgenti e dei «percorsi d’acqua cristallini, l’avvelenamento del suolo accompagnò la scomparsa di animali e di vegetazioni autoctone. Si abbassarono i livelli dei fiumi e le polle d’acqua dolce»(4).
Il secondo nucleo tematico potrebbe essere intitolato: «Roma, il lockdown, il cambiamento climatico, l’Apocalisse». Si racconta del cambiamento climatico, di una Roma in preda al caldo torrido: «estate 2017. Roma – la torrida. 30° di temperatura alle ore 8. Traffico impossibile. Traffico babelico. Stato dell’umano reperibile a passo lento. Dall’eccesso di umori molli – pressione bassa, malori, pronto soccorso»(5). In città il Tevere era ormai asciutto, non esisteva acqua a sufficienza per tutti e i cittadini erano impreparati nell’affrontare tre mesi di siccità. In questo clima infernale, la Maroccolo immagina la scena di un turista che, poco dopo le otto di mattina, per cercare un po’ di refrigerio, si ferma a prendere un gelato a Piazza Risorgimento prima di intraprendere la lunga fila per entrare ai Musei Vaticani. Ma il tentativo è vano: «il calore rese instabili le creme. Non soddisfò l’arsura, né l’intima spiritualità devota alle innumerevoli prove del Supremo. Il cono multi-gusto si sarebbe sparpagliato tra marciapiedi […]. E ora, osserviamo il turista di fronte al proprio crollo: è incredulo, rabbioso, invaso dal desiderio irraggiunto»(6).
Il terzo nucleo tematico si potrebbe intitolare: «I riti ancestrali, la spiritualità più intima e il dialogo cosmico con la natura». In uno dei brani presenti nel catalogo l’arcana vetta del Kailash, in Tibet, una delle più alte cime della catena dell’Himalaya, parla in modo profetico col sommo Universo, adirata contro gli uomini che «sembrano attratti da ciò che è insensato, agiscono senza sapere il significato profondo delle cose, e credono che la soluzione dei conflitti sia il conflitto stesso» mentre «Terra Madre sta morendo»(7). Vi è qui espressa la visione animistica di una natura che si arrabbia, ma che allo stesso tempo protegge. Nina Maroccolo immagina un gruppo di bambini – figure che talvolta rimandano ad un mondo simbolico, spirituale, mitico – che cercano protezione rifugiandosi in una grotta circondata da alberi di eucalipto nei pressi del Santuario delle Tre Fontane a Roma: «eucalipto significa protezione. Per questo i bambini scelsero le grotte d’eucalipto: li facevano sentire al sicuro, rifugio ideale per abbandonare la follia del mondo». La cavità della grotta si rivela un rifugio perfetto: «non è troppo umida, è ospitale […] è senza accumulo di inquinanti»(8).
Gli alberi di eucalipto rappresentano il cuore della ricerca artistica di Nina Maroccolo. L’artista per almeno sei anni, dal 2014 al 2020, ha studiato i vecchi eucalipti del boschetto alle Tre Fontane a Roma, imparandone «i linguaggi», registrandone «i loro cambiamenti», percependone il «sentire straordinariamente rivelatorio». Nina Maroccolo, infatti, si concentra sulla caratteristica degli eucalipti di mutare, di cambiar pelle: «le sue mute, quasi scorticamenti di pelle»(9). Nina ne prende le foglie e le mette a macerare:
«Le macerazioni sono necessarie. Ci portano alla comprensione di verità che vorrebbero eguagliare Natura e Uomo. […] Prendo da terra lo scarto dello scarto, e lo metto dentro una piccola vasca di vetro trasparente. Lo riempio d’acqua. […] Lo lascio fuori mattina e sera, soggetta alla luce, alle temperature, alla pioggia se piove, al freddo se fa freddo. Ogni giorno fa fede nella sua unicità. […] Registrai i vari passaggi di vita. Formazioni di muffe, sottili e stratificate, balsamo. Si erano dischiusi nuovi mondi, ed io volevo conoscerli tutti»(10).
Nella sua ricerca artistica il colore riveste una grande importanza. L’artista si rifà all’uso degli aborigeni d’Australia di dipingere la corteccia degli eucalipti. In particolare, gli aborigeni dipingevano la parte interna delle cortecce per la loro caratteristica di essere piuttosto liscia: è «una base perfetta per esprimersi con i colori, per dare compiutezza al loro fare creativo e immaginifico»(11). Gli aborigeni «con le loro espressioni artistiche entravano nell’importante sfera memoriale, in contatto con se stessi nel leggere i propri sogni, per poi riscriverli; e, soprattutto, per evocare antenati, totem, segni della Natura in una dimensione ancestrale»(12).
Altresì importante per l’artista è l’uso dell’oro, versato in polvere direttamente sulle foglie degli eucalipti, per realizzare alcuni piccoli trittici. L’artista si ispira agli studi di un gruppo di ricercatori australiani, guidati dal geologo Melvyn Lintern, che avevano portato ad un’incredibile scoperta: si trattava del ritrovamento di particelle d’oro sull’apparato fogliare, sui ramoscelli e sulle cortecce degli eucalipti. Gli studiosi dimostrarono che la presenza delle particelle di oro sulle foglie di eucalipto non era determinata dal vento, ma dalla capacità degli alberi di assorbirle dalle radici, in concentrazioni non dannose, e di trasportarle sulle foglie.
Il quarto nucleo tematico è quello relativo alla vita di Nina-Alessandra e alla sua malattia. Un paio, tra le storie raccontate, rimandano ai suoi ricordi d’infanzia, come quando racconta della sua passione per la miniserie televisiva E le stelle stanno a guardare, diretta da Anton Giulio Majano e basata sul romanzo omonimo di Archibald Joseph Cronin. Nina racconta che alla terza puntata si immedesimò in uno di quei minatori inglesi raccontati nella serie, soffrendo per le pessime condizioni di vita e per lo sfruttamento di quei poveri lavoratori: «qualcosa scattò in me perché diventai un minatore. Scesi nella cavità insieme agli altri. Scavavo, scavavo, mancò l’aria e scavavo. Il nerofumo delle lanterne si confuse con la polvere. M’entrò madre terra nella bocca. Acqua per favore, acqua! Arrivò l’acqua ma ci sommerse tutti. Furono i padroni che ci mandarono a morire»(13). Le immagini in televisione, questa volta relative agli incendi dell’Amazzonia, sono protagoniste di un altro indelebile ricordo dell’infanzia di Nina:
«a quel tempo ero bambina con la foresta in fiamme ad alimentare le mie precoci ansie. Le immagini che uscivano dalla televisione rattristavano tutti, richiamavano qualcosa di infernale. […] Per favore siate buoni con gli alberi non abbatteteli per fare la carta dei miei stupidi quaderni! Cosa resterà dei germogli che si spingono verso il Sole? La siccità è cattiva. Anche la fame. Noi non possiamo cibarci della carta. Noi non possiamo entrare nello schermo con l’acqua»(14).
Poi, la malattia. L’artista ci fa entrare nella sua vita, attraverso un racconto toccante, struggente, ma mai volto a suscitare compassione. Il cancro è l’occasione per un cambiamento, una rigenerazione. Scrive: «vivo il cancro come necessario al cambiamento. Lo esploro. Mi dico che la parte sana del mio corpo ha il dovere di sostenere quella malata»(15). La scoperta del cancro al seno arriva nel 2017, pochi anni prima della sua scomparsa. L’artista immagina metaforicamente il cancro come «una nera fioritura di rosa […] un insediamento di cellule come cementificate e di origine fossile»(16). La nera fioritura di rosa è anche il titolo di una sua opera raffigurante una corteccia di eucalipto con al centro un nodo che ricorda una rosa fiorita. In un immaginario dialogo con la cellula cancerogena dirà:
«Ho compreso del mio seno nero lo scarto. E di quello scarto dovevo farne qualcosa. La mutilazione ne era il linguaggio, tornava indietro confuso, poi a volte si snebbiava. Il corpo tornava a un punto d’origine senza possederne l’integrità: ero una femmina dal seno nero, distrazione o disagio del Tempo. O la mutilazione di chissà quale civiltà. […] Scivolare, comprendere, scolpire una mancanza è una celebrazione d’umiltà e fede. In tutto questo c’è molto amore, l’amore che viene prima di ogni cosa»(17).
Il quinto e ultimo nucleo tematico può essere intitolato: «Il dialogo con il Salvatore». Tra i vari racconti, tra le varie parabole, vi è quella di Avalokiteśvara che si reincarna in un uomo chiamato Salvatore Lucinio. Si tratta della figura di un «filosofo libero, moralista del bene»(18) per definirlo con le parole di Plinio Perilli e che allo stesso tempo, come indica il nome, è luce, è salvezza, è il dio cristiano, è Gesù. Tanto è vero che nell’ultima parte del catalogo, nel racconto intitolato La sinfonia del pane, l’artista incontra un senzatetto che dorme in uno scatolone nei pressi del colonnato del Bernini a Piazza San Pietro a Roma. Si tratta dello stesso Lucinio, un Gesù barbone che le fa vivere l’eucaristia: «c’erano tante minuscole galassie. Ciascuna recava un nome, un canto, un madrigale e, insieme, una sinfonia di fraterno ardore. Eravamo pronti per il battesimo. Qui abitava il Cristo. Stava diritto davanti a noi, gridava: “Abbiate cura di voi… Lasciate che il mio dolore sia il vostro pane!”(19)». Si tratta di una vera e propria eucaristia: il Signore come nutrimento dell’uomo, lo spirito sacro che entra nei fedeli. Qui, però, Cristo non ha le sembianza tramandate dall’iconografia cristiana, ma è rappresentato come un barbone che chiede di nutrirsi del suo dolore. Questo nutrirsi di dolore si collega strettamente al concetto di rinnovamento, di rinascita. Nell’epilogo, infatti, leggiamo che gli eucalipti «ci ricordano di abbandonare ciò che credevamo di essere» per provare ad «essere soltanto ciò che si è» oggi(20). Nina Maroccolo ha voluto raccontare «le vicende e l’errore umano», ma anche «la sua beltà», e, soprattutto, «lo stadio della riparazione e del perdono»(21). Questo è il senso ultimo della Rivoluzione degli Eucalipti di Nina Maroccolo.

 

  1. Carlucci, La Rivoluzione degli eucalipti, in «Literary», 6, 2021, http://www.literary.it/dati/literary/c/carlucci_paolo/la_rivoluzione_degli_eucalipti.html
  2. Maroccolo, La Rivoluzione degli Eucalipti, Disvelare edizioni, Nola 2021, p. 32.
  3.  Ivi, p. 60.
  4.  Ibidem.
  5.  Ivi, p. 118.
  6.  Ibidem.
  7.  Ivi, p. 40.
  8.  Ivi, p. 42.
  9.  Ivi, p. 7.
  10.  Ivi, p. 18.
  11.  Ivi, p. 54.
  12.  Ibidem.
  13. Ivi, p. 53.
  14.  Ivi, p. 62.
  15.  Ivi, p. 121.
  16.  Ibidem.
  17.  Ivi, p. 124.
  18. Perilli, Per un umanesimo vegetale da riscrivere. Su La Rivoluzione degli Eucalipti di Nina Maroccolo. Absract della Mostra e del Catalogo d’Arte, in «Neobar», https://neobar.org/2021/09/02/continua-la-rivoluzione-degli-eucalipti/
  19.  Ivi, p. 129.
  20.  Ivi, p. 131.
  21.  Ivi, p. 164.