Pubblichiamo un estratto della presentazione di Carlangelo Mauro della lezione-concerto organizzata dal Liceo “E. Medi” di Cicciano ̶ presieduto dalla Dirigente Anna Iossa ̶ diretta agli studenti e ai docenti:
“Martin Luther King. Una storia americana”, di Paolo Naso (docente di Scienza politica presso l’Università di Roma “La Sapienza) con interventi musicali di Alberto Annarilli (pianista, dottorando in etnomusicologia all’Università di Roma Tor Vergata) e di Ilenia Condello (cantante del coro Gospel di Voices of Grace”).
L’evento, che si è tenuto presso il Teatro Nadur di Cicciano il 5 aprile mattina, è stato curato dalla docente Rosanna Ardolino (referente del progetto) e dal Dipartimento di Filosofia del Liceo.
Il libro “Martin Luther King. Una storia americana”, di Paolo Naso, pubblicato da Laterza, è fondamentale per conoscere il grande leader del movimento per i diritti civili dei neri. Nella nostra attività di insegnanti ‒ sarebbe meglio dire: missione ‒ credo che dovremmo “obbligatoriamente”, attraverso dei collegamenti pluridisciplinari, approfondire figure come King, Gandhi e altri personaggi che hanno segnato in positivo la storia dell’uomo, dominata prevalentemente da guerre e violenze. Ma veniamo al libro. Nelle prima pagine ci pone subito una prima questione:
COSA UCCISE KING?
Il volume parte quindi dalla fine, dall’omicidio di King, per poi ripercorrerne la vita inquadrandola nel contesto delle lotte e delle proteste del movimento dei diritti civili dei neri, di cui King, come sappiamo, fu il leader. L’autore non tanto si chiede nella sua trattazione chi abbia ucciso King ‒ sull’assassinio rimangono molti dubbi ‒ ma piuttosto che cosa lo abbia ucciso. Il sistema che in America era diventato dominante, e che aveva isolato King, era costituito da alcuni elementi ben precisi, quali: l’escalation nella guerra del Vietnam sotto la Presidenza Johnson, accompagnata ad una eccessiva militarizzazione e quindi da tagli ai servizi per i più poveri; una iniqua distribuzione della ricchezza di cui i neri svantaggiati pagavano le pene, un aspetto questo molto negativo, a detta di King, del capitalismo americano; l’ingiustizia sociale, il razzismo che in tanti ancora volevano fosse tenuto in piedi nonostante le conquiste legislative che il movimento aveva raggiunto. Il radicalismo di King, che nella evoluzione del suo pensiero, della sua azione, della sua teologia avversava tutti questi elementi negativi, è stato il motivo, scomodo, della morte.
Seconda questione:
COME ERA COSTITUITO-ORGANIZZATO IL MOVIMENTO NERO DEI DIRITTI CIVILI?
Nel libro vengono analizzate le organizzazioni-associazioni, che sotto varie sigle e denominazioni, si rapportarono a King come leader. Il quadro è complesso e per chi come me non è uno storico è un elemento del libro che ti invita a superare dei luoghi comuni che sono sbagliati. Il movimento dei diritti non era certamente un monolite.
Terza questione:
LE CHIESE NERE.
Si analizza nel volume il contesto delle chiese nere, afroamericane, che furono la culla del movimento per i diritti civili e che lo caratterizzarono alla fine degli anni ‘50. Per inciso: mi ha colpito molto, da letterato, l’iperbole, citata da alcuni predicatori, che riscrive il celebre inizio del Vangelo di Giovanni («In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»); una sorta di discorso poetico tautologico ‒ si riavvolge su stesso ‒ con la ripetizione dell’aggettivo nero, e che progressivamente arriva alla conclusione, alla luce, alla «vita» illuminata dalla luce di Dio, ovviamente, attraverso la figura retorica dell’ossimoro:
“All’inizio c’era la chiesa nera e la chiesa nera era con la comunità nera, e la chiesa nera era la comunità nera. Sin dall’inizio la chiesa nera era con la gente nera; tutto veniva fatto attraverso la chiesa nera e senza la chiesa nera non si faceva nulla. Nella chiesa nera c’era la vita; e la vita era la luce del popolo nero”.
Quarta questione:
KING: UN EROE O UN SANTO?
Anche io ho trasformato nella mia mente King in una sorta di santo, una specie di “santa trinità” insieme a Gandhi e a Gesù. L’insegnamento di quest’ultimo è certo alla base della dottrina non violenta. Tutti forse ricorderete il “porgi l’altra guancia”, “amate i vostri nemici”… Per inciso, ma richiamandomi a quanto dicevo all’inizio, nelle scuole si dovrebbe approfondire di più anche la figura del Gesù storico. Vorrei al tal proposito ricordare le parole, spero non più attuali, di Vittorio Messori, all’epoca del suo best seller, più volte ristampato, “Ipotesi su Gesù” (1976): «Ci si laurea in storia senza aver neppure sfiorato il problema dell’esistenza dell’oscuro falegname ebreo che ha spezzato la storia in due: prima di Cristo, dopo di Cristo. Ci si laurea in lettere antiche sapendo tutto del mito greco-romano, studiato sui testi originali. Senza aver però mai accostato le parole greche del Nuovo Testamento».
Si dovrebbe approfondire la rivoluzione non violenta del Mahatma ‒ la grande Anima ‒ Gandhi, che portò l’India a liberarsi dalla dominazione inglese, sebbene con conseguenze certo non incruente per gli indiani.
Ritorniamo alla questione di King: un eroe o un santo? La risposta è: nessuno dei due. Il lettore come me, che non è uno storico, ma un letterato che non conosce approfonditamente la biografia di King, leggendo questo volume deve dire addio a parecchi luoghi comuni. Il libro cancella l’ingenuità della santificazione. Paolo Naso riporta ad esempio l’affermazione di una collaboratrice di King, Ella Baker: «Penso che il movimento abbia creato Martin, piuttosto che Martin abbia creato il movimento, e non è un discredito per lui». Credere quindi che King sia stato una specie di messia o una sorta di “monarca” assoluto del movimento, delle sue varie organizzazioni che si susseguirono nelle proteste contro a) segregazione, b) razzismo, e c) che reclamarono il diritto di voto e del reale esercizio di tale diritto ‒ perché la legge può rimanere sulla carta nella sua applicazione nei contesti reali ‒ è sbagliato. Nel volume si riportano anche le varie contestazioni dall’interno del movimento a King in diverse occasioni, nonché quelle esterne. Per esterne possiamo riferirci soprattutto a Malcom X, leader diverso da King, per quanto i due finiscono, come chiarisce Naso, progressivamente per avvicinarsi nel loro percorso che li porterà entrambi ad essere uccisi. Nel volume è riportata una forte affermazione di Malcom contenuta in una intervista del 1964:
“la non violenza, il porgere l’altra guancia sono cose che non mi dicono niente. Non ho mai sentito di una rivoluzione nonviolenta, o di una rivoluzione a cui si sia arrivati porgendo l’altra guancia, e così credo sia criminale insegnare ad una persona che viene brutalizzata, a continuare ad accettare questa brutalità senza fare niente per difendersi. Se è questo quello che insegna la filosofia cristiano-gandhiana allora è criminale… è una filosofia criminale”.
Pensate a quale differenza rispetto ai principi della non violenza cui King si era accostato fin dagli anni del College, ad Atlanta, incontrando dei professori che come missionari avevano visitato l’India e avevano avuto contatti con il movimento di Gandhi. Soprattutto va ricordato l’incontro nel 1957 con James Lawson; King esortò Lawson a trasferirsi nel sud e iniziare a insegnare la nonviolenza. Scrive Naso: «per la prima volta King poteva avere al suo fianco qualcuno che dell’esperienza gandhiana non era stato soltanto un uditore, ma l’aveva vissuta in due anni di permanenza nei villaggi».
Confesso che mi ha emozionato trovare nel libro, tra le istruzioni scritte che Lawson dava ai manifestanti del Tennessee nel 1956, in pratica un codice di comportamento, il punto 10 racchiude la triade: «Ricordate gli insegnamenti di Gesù Cristo, Mohandas Gandhi e Martin Luther King».
Nella trattazione della biografia di King contenuta nel volume, comunque, viene superato un luogo comune diffuso. Non si fa di King il classico “eroe americano”, avvolto da un’aura di beatitudine che dopo la sua morte ha finito per renderlo un santino innocuo, ma ne vengono illustrate le contraddizioni, gli stessi “peccati”. Vengono richiamate in nota anche le sue relazioni extra coniugali. Ciò è una lezione di metodo: lo storico deve narrare i fatti che vengono ricostruiti attraverso il lavoro sulle fonti, deve vagliare quest’ultime, non deve costruire miti disincarnati, staccati dalla realtà (e con i leader il rischio c’è sempre).
In tale direzione molto bello trovo l’accostamento che fa Paolo Naso con Lutero, o meglio con la sua formula: simul iustus ac peccator: “l’uomo cristiano è giusto e peccatore al tempo stesso”. E tale fu anche il pastore battista di cui stiamo discutendo, che per una strana coincidenza ne prese il nome. Ricordo, ragazzi, che i genitori di King nel 1934, sotto il nazismo, compiono un viaggio in Europa visitando la Germania; il reverendo King Senior (il papà di King, si chiamava Michael, era un pastore protestante) rimane affascinato dalla figura di Martin Lutero e decide così di cambiare il suo nome e quello del figlio in quel che conosciamo: Martin Luther King. Nomen omen dicevano i latini, il nome è un presagio, un destino. Mi avvio alla conclusione accennando ad altre due questioni poste dal libro:
ROSA PARKS NON FU LA PRIMA…
Non è stata, cioè, la prima donna nera a Montgomery, nel dicembre 1955, a sfidare le norme segregazioniste sugli autobus: ricorderete che Parks rifiutò di alzarsi per lasciare il posto a un bianco. Prima di lei lo aveva fatto Claudette Colvin, ma i capi dell’organizzazione, poiché la ragazza era rimasta incinta, non fecero conoscere il caso, temendo che le critiche esterne si concentrassero sulla scarsa moralità delle ragazze nere, anziché parlare della questione dei diritti.
IL DISCORSO “IO HO UN SOGNO” DI WASHINGTON È LA CITAZIONE DELLO STESSO SOGNO.
Un’altra convinzione sbagliata, che ho dovuto superare leggendo il libro, riguarda proprio il celebre discorso di King pronunciato al termine della marcia su Washington del 28 agosto 1963, cui parteciparono oltre 200mila persone. Il discorso non è una illuminazione di un momento unico, straordinario, ma è anche una ripresa di diversi temi, finanche parole e immagini bibliche, di un analogo discorso sul tema del sogno tenuto un paio di mesi prima a Detroit nel giugno del 1963. Voglio concludere con un passaggio di questo discorso che dovremmo ripetere spesso nelle nostre menti e tra i banchi, per scavare il nostro “tunnel di speranza” nelle nostre vite e nella nostra esperienza quotidiana:
“Oggi pomeriggio” ho il sogno che la fratellanza umana diventerà realtà in questo giorno. E con questa fede uscirò e scaverò un tunnel di speranza attraverso la montagna della disperazione. Con questa fede, uscirò con te e trasformerò gli oscuri ieri in luminosi domani.