L’arte del seicento mi ha sempre affascinato, destando in me sensazioni di piacevole instabilità, di assoluto de/centramento tipico di un modo di trattare la materia che appare inusuale, dinamico e originale. Ricordo come negli anni novanta, in piena fase post moderna si facesse chiaro riferimento ad un ritorno ad una estetica tipica del XVII secolo, paventando addirittura la possibilità di usare un termine come neobarocco che lasciava poco spazio all’equivoco. Questa tendenza che segnava l’alba di un “nuovo periodo” era in parte dovuta alla negazione di quelle avanguardie che fino a qualche decennio prima avevano continuato ad imporsi attraverso la logica del progresso, in una forma di funzionalismo purista. In un libro dello scrittore Guy Scarpetta dal titolo quanto mai eloquente “L’Impuro” si faceva incetta di quei termini spesso usati in riferimento al barocco. Attraverso l’arte, la letteratura, il cinema, Scarpetta dava impeto alla sua idea anti-purista figlia di una società ormai affranta dal demone del progresso, in funzione del crollo di ogni forma di utopia e certezza. Attraverso quelle caratteristiche che fanno del barocco una corrente, che io oserei definire atemporale, si possono intravedere qua e là segnali di evidente eterogeneità, specie nella scelta di diversi medium visivi per quanto attiene alla ricerca artistica. Tali medium tuttavia sono, giocoforza, subordinati ad una serie di riflessioni che brevemente cercheremo di definire seguendo la linea tracciata da Scarpetta a margine del testo su citato e da una serie di lavori fotografici che l’artista materano Pino Lauria ha realizzato negli ultimi anni di attività, esposti di recente presso la galleria Civico 23 di Salerno. Innanzitutto la pluralità di significati, caratteristica già presente nella “composizione barocca” ed esplicitamente dichiarata nell’intento sovversivo del linguaggio visivo praticato dall’artista. Questa varietà di significati, spesso contraddittori tra loro, che Lauria promuove con forza, appare evidente in quei lavori dove la “narratività” simbolica fa capolino sulla superficie delle immagini diventando carne tatuata, espressione disincantata, pathos erotico. Proseguendo lungo la strada tracciata dall’impuro testo di Guy potremmo accennare a come le opere di Lauria mettono a dura prova l’osservatore, in termini di sguardi, specie se lo si investe con immagini particolarmente “dislocate” in ambienti imprecisati o altrimenti decorati. Attenzione però non si tratta, verosimilmente, di decoro ma di ornamento. Termine, quest’ultimo, che incarna, attraverso stoffe, oggetti e accessori, un modus operandi in cui l’elemento ornamentale, appunto, diventa condizione strutturale e strutturante dell’intera composizione. In altre parole, alla stregua di una precondizione quanto mai essenziale, l’ornamento si fa esso stesso elemento di riflessione sulla capacità delle immagini di evocare e veicolare un mondo fatto di rimandi in cui il simbolo diventa elemento necessario della comunicazione.
A tal proposito ci sarebbe da chiedersi se il simbolo incarnato, a vario titolo, dai personaggi oggetto delle opere di Lauria sia il risultato di latenti dualismi, anch’essi dal sapore baroccheggiante, che si originano nel contrasto tra erotismo e cristianesimo oppure tra finzione e realtà. Riguardo al primo dualismo appare evidente come i personaggi dell’artista sono l’incarnazione della contraddizione: figure apparentemente angeliche ma al contempo votate all’erotismo.
Atteggiamenti, espressioni, stati d’animo (che in molti casi rasentano la melanconia) oscillano tra una estremità e l’altra dando l’impressione di figure prossime alla lasciva tentazione o alla più controllata devozione. Per quanto attiene alla finzione, che potremmo anche tradurre in teatralità, penso che sia abbastanza chiaro l’intento di Lauria teso a dare poco spazio alla casualità nel tentativo di dilatare la possibilità comunicativa di un’immagine artefatta al fine di renderla più evocativa, allusiva.
In ultima analisi mi sia concesso di allargare questa breve dissertazione a tutti quegli ambiti del sociale che, direttamente o indirettamente, sono parte integrante di un’era, quella odierna, votata al credo neobarocco. L’idea di opulenza, di artificiosità, di vuota apparenza, sembra insinuarsi in una dimensione disforica che contraddistingue la vita (nel senso più ampio del termine) nella società contemporanea. Dunque se da un lato l’arte, in ogni sua forma, fa dell’eredità barocca un baluardo di libertà, creatività, libero arbitrio, dall’altro si fa ricettore di tendenze anomale che rendono evidente opposizioni quali, profondità/superficialità, sacro/profano, immagine/simulacro. Opposizioni che alcuni detrattori denotano come negative, ma che altri provano a debilitare come elementi, che nel bene e nel male, si fanno portavoce di una società dominata dai media.