Maspero e Tallo, due moderni cavalieri, fino a poco prima legati alla città e alle sue comodità, decidono di lasciare tutto e di partire a cavallo lungo la valle dell’Adda. Nel corso della cavalcata incontrano i loro pensieri ma anche strani personaggi, come un barbone vecchissimo e saggio, e una giovane polacca, proprietaria di un piccolo bed &breakfast, in cui si imbattono dopo molto cavalcare. La bellezza e la malinconia della giovane accendono l’immaginazione del Maspero cavaliere.
Maspero credeva, mi domandi,
tu lettore, o non credeva, e questo spiega
l’abbandono giovanile del talare?
Credere o non credere è lo stesso,
a giudicare bene, con distacco,
conta il succo, il furore di ricerca;
quanto ti scava fondo nel cervello
e ti lascia calda polvere nel cuore;
tu non perdere però il filo del suo viaggio.
Al decimo sacco a pelo i cavalieri
ebbero languore di lenzuola di liscivia,
e scelsero a vista un bed & breakfast
nella zona di Turano, verso il lago romito
del Gerundo. Piccolo appariva, un cascinale,
ocra scuro e verde nelle imposte, il filo
accanto, coi panni da asciugare, l’orto
sparto di rosso e verde, una carriola
sporca di fango e sghemba contro un sasso,
un forcone dai rebbi olianti gromma,
e l’insegna intagliata in alto al centro.
Presero il portone e varcarono penombre
profumate fino al banco, fu allora (incanto)
che si mosse un folto capo biondo, liscio,
un busto eretto, sodo, un bel maglione
bianco tessuto all’uncinetto e un pantalone.
-Salve, potete voi restare da Teodora,
se volete.- disse la donna bionda, e Maspero
rispose finalmente dai precordi: -Stiamo.-
Maspero notò quell’oro al palmo ma s’illuse
trattarsi di un colpevole ritardo, un fiordo
fra i ghiacciai, un cardo giallastro fra i ricordi,
ma nulla disse, anzi calmo trasse a sé la sacca,
mentre Tallo accavezzava i loro bai,
invece era un gancio cavatappi, che serviva
per chiudere una viva nell’oblio.
La donna lo protesse con lo sguardo, il viso
magro le tolse dalla mente un suo fratello
che morì di bacillo pneumococco,
fratello lungamato e granrimorso.
La stanza era vasta e sormontata
da un arco come a uso di stallaggio, una vasca
oblunga a chiudere nel fondo,
pulita, all’odore di naftolo, tende bianche,
una testa di stambecco sotto l’arco, nerofumo.
Lo stretto necessario per mobilio:
due letti con coperte biancazzurre,
all’altro lato lo sgabello, in alto
la Grundig nerolucida a venti pollici,
e appeso al muro il poster di quell’undici
rossonero, anno novecentonovantadue.
Maspero fu attratto da un quadretto
sul letto che scelse come suo, una Vergine
a pastello rosa e azzurro, col fanciullo
rosso e in là marrone, un dipinto slavo
d’occasione per le feste comandate.
La donna disse d’essere Teodora, polacca
di Varsavia, Sobiesky, come quel liberatore
di Vienna, contro l’islamica saracca.
Maspero le parole della cena, i suoi saluti
si bevve per due sere, e a colazione, il terzo
giorno disse: – Se tu sei quella che io credo, vieni
alla grotta dietro al lago.- Lei venne, ma per pena.
Per lei era solo un cliente somigliante
al più caro e più raro dei suoi estinti.
Discesero al Gerundo, nel bosco di giallastri
ippocastani, e uscirono davanti ad una cinta,
Maspero e Teodora, camminanti.
Era un muro sbrecciato di castello,
uno scampolo di rocca del trecento,
diruta, diroccata, stracca dall’età,
con un ponte ancora mezzo in piedi
da salire di lato verso il nulla,
sui gradoni, oppure nell’eternità.
Salirono i due e attesero lì il sole
a piombo sulla passerella come al punto
d’incontro fra la terra e il biancazzurro,
sospesi dentro un liquido biancastro,
il loro essere discosti proiettava
due ombre a terra nette e ben divise:
staccati dalla terra ma diversi.
Eppure come Maspero anche lei
aveva abbracciato l’astinenza
per noia più che altro, o per punirsi,
però nessuno dei due lo disse all’altro.
Discesero in silenzio accosto il lago
gemmeo, fulgente di colori, in mezzo ai cedui,
ai carpini, ai castagni, all’alta sanguinella.
Giunsero alla riva a settentrione, ripida, pendente,
ghiaiosa di morene postglaciali, un foro
alla parete della roccia, videro, ed un cavo
spazio interno, un’ampia depressione:
una grotta naturale a pelo d’acqua,
con lesene intorno attorte, naturali.
Intanto Tallo non mollava il suo cavallo,
restava in zona, attorno al cascinale,
curava i finimenti della sella, la biada
offriva al Tracagnota, l’avena al Sansovino,
mentre Maspero vagava per la valle con Teodora,
amata da Dio, polacca della fede; perso
lui, innamorato certo come un torso.
E questo caso poi col loro viaggio
che montava? Un giorno, il quarto
pomeriggio, mentre che distratto chileggiava
il magro pranzo a cacio ed a radicchio, il Maspero
seguì fino alla grotta con Teodora, e vide
entrambi inginocchiati ad un altare,
un rozzo crocefisso, un’iscrizione ignota
alla parete, restare contemplanti per mezz’ora.
-Dove vai tu alla fine del tuo viaggio?-
-Da mia mamma, al camposanto a Primaluna,
e poi al Duomo a confessarmi un po’a mio agio,
ma dopo, dopo il viaggio di uomo e di cavallo.-
-Ferrante, grande nome, siimi amico,
resta un poco al lago, aiutami, ti prego,
proteggimi dai ladri che due volte
rubarono il trattore a mio fratello, ancora vivo,
a me il cestello portaghiaccio e i panni,
e tanti polli, e m’uccisero infine il cane
Iagellone, con un colpo nella testa.-
L’irrideva dolcemente la Teodora,
sapeva che sarebbe andato presto,
eppure n’aveva struggimento, ed un languore
un languore giusto al centro della pancia.
Il giorno dopo attesero in silenzio
le ombre della sera al cascinale, il tronco
orizzontale dei cavalli farsi argenteo
per il raggio della luna, e si mossero decisi:
Ferrante con la pila nella destra ed il forcone
oliante gromma alla sinistra, indietro la Teodora,
e il Ginetto largo a chiudere la fila;
cercavano i briganti, i demòni o i mostri di val d’Adda?
Non sappiamo che cosa si aspettassero, per due sere:
vagavano lì intorno fin dentro la boscaglia,
poi tornavano, i due la salutavano compunti,
e andavano a letto a fare i pensionanti.
La terza sera sentirono un rumore
di dietro al cascinale, verso il lago e si mossero
furtivi e silenziosi, la mano del Ferrante
stretta alla sua arma, nel candido raggio lunare,
nervosa la Teodora, sempre più discosto
il Tallo, con la scusa di guardare il suo cavallo:
comparve una testa fra gli arbusti vispa vispa,
-Furfante di faina!- disse il Tallo,
le orecchie, un muso triangolare, gli occhi vivi
di piccolo animale, che disparve
all’improvviso fra le siepi prima che il Ferrante
gli assestasse il colpo rapido e ferale.
Maspero si riposa e raccoglie le idee, certo, ma è turbato dal tipo di solitudine di Teodora che, come la sua, sembra una solitudine che aspetta un destino. E’ forse lei la donna che aspetta da tanto tempo?