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Mangiatrici d’anime, Pino Bertelli

Sono gli irlandesi e i loro studenti che, nel corso del IX secolo, continuano ad ampliare le prospettive per l’insegnamento della grammatica in un sistema aperto tra insegnanti e discenti, i cui testi circolavano nei monasteri e nelle scuole. Si tratta di opere portate dall’Irlanda e dalle quali il rinascimento carolingio è chiamato a trovare un secondo vento nelle arti liberali, nella retorica, nella dialettica e nella logica. Infatti, se si chiedesse di riassumere la differenza essenziale tra l’approccio carolingio alla grammatica e quello dei due secoli precedenti in una sola parola, si dovrebbe dire diversità, rispetto al testo di maggiore autorità, quello di Donato, su cui si formavano i dotti e gli scolari del tempo, con l’Ars minor e l’Ars maior o anche Ars grammatica: il primo era un testo che i giovani dovevano studiare, imparare a memoria, strutturato sul modello di domande e risposte, trattava del discorso in otto parti; il secondo si presenta come un ampliamento e approfondimento di quanto è scritto nel primo (evidentemente i giovani si accostavano all’Ars maior soltanto dopo aver studiato ed imparato l’Ars minor) e diviso in tre libri, trattava anche di fonetica, metrica e stilistica. Tale separazione è conseguenza del progressivo abbandono della prima parte più semplice a favore della seconda più completa, iniziato già in epoca antica e consacrato poi in epoca medievale, con Prisciano e soprattutto con Alcuino. Ma fu Donato che seppe per primo “codificare” l’insegnamento grammaticale, distinguere un corso elementare da un corso superiore, trovare per questo la formula concisa, adattare alla scrittura la coppia pedagogica domanda-risposta, raggruppare alla fine dell’articolo tutti i fatti irregolari, presentando l’Ars come un trattato non di lingua, ma di scienza del linguaggio, che non può essere «in alcun modo un manuale elementare», ma il manuale che per dodici secoli è stato preso come punto di riferimento per la composizione di altre grammatiche.
Ma la vera scoperta sulla grammatica di Prisciano fu fatta da Alcuino, con una trattazione più ampia dell’Ars maior di Donato, composta di 18 libri, sedici dei quali, definiti Priscianus maiorsi riferiscono alle parti del discorso, mentre gli ultimi due libri, chiamati Priscianus minor, alla sintassi, presi da Alcuino come modello per la stesura delle Excerptiones. Ma con Prisciano siamo in una sfera grammaticale superiore, poiché il De arte grammatica supera l’opera di Donato non soltanto per ampiezza, ma per valore e per profondità: l’autorità di Prisciano era riconosciuta anche in campo teologico, perché nella sua grammatica vi sono concetti che entrano già nel campo della logica; per questo motivo nelle controversie religiose dei secoli IX-XI, se veniva citato a volte Donato, era però Prisciano che faceva autorità.
Lo schema del De arte grammatica di Prisciano è quello stesso di Donato, vale a dire: dopo una breve trattazione sulle lettere, sulle sillabe e sul discorso in generale, vi è la trattazione delle singole parti del discorso a cominciare dal nome. Tuttavia, un testo di questa dimensione presentava alcune difficoltà pedagogiche: la sua dottrina rimaneva inaccessibile agli studenti di media capacità a causa degli sforzi necessari per ottenerne la conoscenza. In una lettera, Alcuino chiede a Carlo Magno di autorizzarlo a inviare corrieri a York per portare nella schola i suoi libri, quelli che sono stati definiti eruditionis scholasticae libelli, vale a dire “particolarmente preziosi per il loro contenuto scientifico, fatto per la scuola”. Questo spiega la produttività di Alcuino nel campo delle arti liberali e, in particolare, della grammatica. Il De grammatica, dunque, è nato in questi anni di riorganizzazione intellettuale (secondo Isabella Stoian non oltre il 798), dove sembrava che Alcuino stesse ricominciando la sua vita da insegnante e stava per condividere con un nuovo gruppo di intellettuali
la conoscenza: è un breve opuscolo, che gli studenti avevano a portata di mano per rinfrescare la loro memoria, quindi per uso scolastico, che riassumeva ciò che è necessario sapere riguardo alla grammatica. Porta l’impronta della scuola del Palazzo, solo per la personalità dei due personaggi principali che vi si esprimono, i due allievi Saxo e Franco: Fuerunt in schola Albini magistri duo pueri, unus Franco, alter Saxo, qui nuperrime spineta grammaticae densitatis irruperunt. Quapropter placuit illis paucas litteralis scientiae regulas memoriae causa per interrogationes et responsiones excerpere. At prior illorum Franco dixit Saxoni : Eia, Saxo, me interrogante responde, quia tu maioris es aetatis. Ad haec Saxo respondit: Faciam; ita tamen, ut si quid altius sit interrogandum, vel ex philosophica disciplina proferendum, liceat magistrum interrogare. Ad haec magister : Placet, filii, propositio vestra: et libens annuo vestrae sagacitati. Et primum dicite unde vestram convenientius disputationem esse arbitramini incipiendam? [PL 101, 854] «C’erano alla scuola del maestro Albinus due fanciulli, uno Franco, l’altro Saxo, che proprio di recente si sono lanciati attraverso i cespugli spinosi della fitta foresta grammaticale. Ecco perché hanno deciso, per esercitare la loro memoria, di estrarre, recitandoli per richieste e risposte, alcune regole che caratterizzano questa scienza delle lettere. Ma è Franco che, il primo, ha parlato e ha detto a Saxo: Saxo, sono io a porre le domande, e tu, a rispondere?» Alcuino, a Carlo Magno, nel dialogo De rethorica e virtutibus, gli ricorda in due lettere: interrogare sapienter è docere, “interrogare con saggezza è insegnare e se ce n’è uno che interroga, un altro che insegna, il modo di pensare in entrambi procede dalla stessa fonte, la saggezza”. Egli, quindi, non cerca di commentare né Donato né Prisciano, ma effettua una lettura parallela dei due grammatici, completato da altri grammatici come Pompeo, Cassiodoro, Diomede, Isidoro e Beda.
Tuttavia, Alcuino è tutt’altro che un semplice compilatore: da un lato, combina in modo intelligente le sue fonti e illustra le sue affermazioni con esempi letterari che rivelano la sua grande cultura letteraria, d’altra parte, ripetutamente, va oltre un semplice uso delle sue fonti grammaticali. Mi limiterò a tre esempi:
1. Se confrontiamo l’elenco dei significati dell’avverbio in Alcuino con le liste degli antichi grammatici, vediamo che la sua lista non è identica a nessun altro, avvicinandosi tra l’altro molto di più a Prisciano;
2. adotta un altro ordine di presentazione (la sua sequenza è più coerente dal punto di vista semantico rispetto a quella di Prisciano);
3. non commette l’incoerenza che si può rimproverare a Prisciano (cioè aggiungere significati al di fuori dell’elenco enumerativo).
Alcuino stesso ha scritto due libri, le cosiddette Excerptiones, tratte dai libri XVII e XVIII del De grammatica di Prisciano, impegnandosi nel lavoro di fare estratti, antologia, abbreviazioni, versioni
glossate, eliminando tutti i dettagli riguardante il greco, e aggiungendo etimologie e osservazioni lessicografiche. Non sappiamo se sia stato Alcuino a scrivere le Excerptiones con certezza, non sappiamo se è stato qualcuno del suo entourage e soprattutto il valore che ebbe questo libro ex novo secondo alcuni studiosi o riformulato, secondo altri, dal momento che il vero problema è che non abbiamo una tradizione indiretta di questi estratti, ma solo quattro manoscritti, di cui un palinsesto. Ci sono riferimenti all’Excerptio de arte grammatica Prisciani di Rabano Mauro, ma secondo alcuni recenti studi, egli sembra ignorare i libri 17 e 18 del De grammatica di Prisciano e una fonte storiografica su Sedulio Scoto che afferma che per la sua opera principale abbia preso in considerazione i libri XVII e XVIII; taluni studiosi hanno parlato solo di tradizione diretta e quindi su quei quattro manoscritti sulle Excerptiones, non facendo alcun tipo di riferimento alla tradizione indiretta. Tutto questo perché è importante comprendere quale valore avessero le Excerptiones durante l’epoca carolingia e post-carolingia e come mai non si è avuta una diffusione così preponderante nei secoli successivi, nonostante si tratta della parte più importante della grammatica, appunto quella della sintassi su cui si formavano gli eruditi. Sappiamo sicuramente che ha circolato poco, forse perché era una rivisitazione di un’opera già scritta? Nella biblioteca di York, oltre a Donato e Prisciano, troviamo anche le grammatiche di Probo, Servio, Pompeo e Carisio, ma anche libri di poeti cristiani come Sedulio, Prudenzio, Paolino da Nola, Venanzio Fortunato e Lattanzio, e quelli dei poeti pagani come Virgilio, Stazio e Lucano, ma solo con aspetto marginale. Lo stesso Alcuino abbiamo detto che durante il metodo di estrazione eliminava le parti riguardante gli autori classici. Viene in testa l’imponente quadrige dei Padri Latini: Girolamo, Ilario di Poitiers, Ambrogio, Agostino. Ricordiamo la priorità data a Girolamo, senza dubbio come revisore e traduttore della Bibbia. Incontriamo poi Gregorio il Grande e Leone il Grande, Basilio e Fulgenzio, Cassiodoro. Dopo la menzione di Aldhelmo e Beda, presentati come i maestri dei maestri, si passa dagli autori patrizi agli scrittori che illustrano le arti liberali, Vittorino e Boezio, rappresentate da Alcuino come propedeutica alla conoscenza delle Sacre Scritture e come mezzo per arrivare alla conoscenza di Dio. È in questa prospettiva di apertura a ogni conoscenza che Alcuino contribuì al
rinnovamento carolingio della grammatica e proprio in questo contesto che l’attività dei glossatori era molto intensa; infatti, nei quattro manoscritti delle Excerptiones mi sono chiesta quale valore avessero le glosse interlineari e a margine dei testi: erano note di spiegazione degli studenti della scuola di palazzo oppure erano semplici appunti dei discenti? Dei molti contributi carolingi allo studio della grammatica, quello con le maggiori implicazioni teoriche, era la rinascita della dialettica, che non sfuggì ad Alcuino e ai suoi contemporanei: laddove il grammatico si occupava del discorso, il dialettico era ansioso di usarlo con precisione, per formulare definizioni precise e argomenti logici. Alcuino, lui stesso un desideroso praticante di entrambe le discipline, integrò proprio con lo studio di Prisciano per padroneggiare le tecniche della dialettica, la cui disputatio ci dà una buona idea di come la materia grammaticale veniva insegnata e ripetuta in un contesto didattico in cui l’oralità e l’esercizio della memoria erano fondamentali. Nell’introduzione alle discipline, la promessa del maestro, nella corrispondenza epistolare a Carlo Magno, sembra inequivocabile: “Con l’effetto della grazia divina farò ciò che avete chiesto e vi mostrerò, affinché li vedeste, i sette gradi attraverso i quali si accede alla filosofia”. Dunque i filosofi non sono i creatori ma gli scopritori delle arti liberali per arrivare al grado più alto della conoscenza. Lo stesso Alcuino afferma Disce ut doceas, ispirato al grammatico Beda e che viene riportato anche nell’Epistola de litteris colendis: “Scegli uomini che hanno la volontà e la capacità di imparare e il desiderio di istruire gli altri”. Il grande merito di Alcuino, dunque, risiede nella sintesi intelligente della conoscenza grammaticale antica, sintesi che si vede arricchita da una dimensione filosofica e una riflessione sulla funzione del linguaggio come insieme di simboli, sulla convenzionalità dei segni linguistici e sulla questione semantica delle parti del discorso. Alcuino annuncia così l’orientamento filosofico che la grammatica prenderà già nella seconda metà del XIX secolo, rappresentata da Aristotele nella dialettica e da Cicerone nella retorica. È chiaro che agli occhi di Alcuino solo gli autori antichi forniscono il fondamento delle arti liberali e quindi della cultura, e che questa concezione (Alcuino ne era consapevole) era già quella di Aldhelmo e Beda che appaiono come i veri iniziatori di un rinnovamento. Ma solo i filosofi, prima degli storici, dei naturalisti, dei dialettici e degli oratori, valorizzano le arti liberali e quindi la grammatica. Con mezzi diversi, l’accento è quindi posto sulle stesse priorità, priorità alla filosofia, priorità alla scienza, alla letteratura, ma soprattutto alla grammatica.

Bibliografia minima

• Alcuin, Lettres. Tome I, ed. C. VEYRARD-COSME, Paris, 2018.
• Excerptiones super Priscianum, edizione critica a cura di Louis Holtz e Anne Grondeux, pubblicate nel CCCM 304- Corpus Christianorum Continuatio Mediaevalis- dalla casa editrice Brepols, Turnhout, 2020).
• C. Leonardi, Alcuino e la scuola palatina: le ambizioni di una cultura unitaria, in Nascita dell’Europa ed Europa carolingia: un’equazione da verificare. Atti della XXVII settimana di Studio, Spoleto, CISAM, 1981, I, pp. 459-98.
• HOLTZ Louis, « L’émergence de l’œuvre grammaticale de Priscien et la chronologie de sa diffusion », dans Baratin Marc, Colombat Bernard, Holtz Louis (dir.), Priscien, transmission et refondation de la grammaire de l’Antiquité aux modernes, Turnhout, Brepols, 2009, p. 37- 55.