Preparare sempre una lista e non scendere mai a fare acquisti alimentari quando si ha fame: sono due consigli di Slow Food per “La buona spesa”, una piccola arma di difesa contro quei famosi sette secondi che passano da quando prendete una decisione a quando vi rendete conto di averla presa.
Non lo sapevate? Lo ha dimostrato nel 2017 uno studio condotto dal Max Planck Institute per le scienze cognitive di Lipsia, rilevando, attraverso una serie di risonanze magnetiche funzionali (fMRI), realizzate su 14 volontari ai quali era stato chiesto di premere un pulsante con la mano destra o sinistra a scelta, quando richiesto, che la corteccia prefrontale (sede delle decisioni istintive) si accendeva sette secondi prima che il bottone fosse spinto.
È questa parte del nostro cervello, il vero obiettivo del marketing e della pubblicità che si sforzano di risalire alla culla primordiale delle nostre emozioni. In quali modi? Veramente tanti, e smascherarli è un percorso avvincente.
Tra il 2015 e il 2016, l’ente nazionale del turismo di un Paese sudamericano organizzò e diffuse una campagna promozionale basata sull’esperienza di alcune decine di persone, alle quali fu detto di aver vinto un viaggio premio in una località estera non rivelata, dovendo rilasciare, in cambio, soltanto l’autorizzazione alle riprese e un giudizio complessivo sulla qualità dell’offerta turistica di tale destinazione, in base a determinati indicatori; il tutto, naturalmente, dopo aver viaggiato in mezzi con vetri oscurati fino all’arrivo.
Ne fu tratto uno splendido spot, montato con i video più divertenti, avventurosi, romantici ed emozionanti della vacanza, al termine della quale fu poi rivelato loro che non si erano mai spostati dal luogo natio, dato che, a cominciare dai primi movimenti dell’aereo, fino al finto atterraggio nella presunta meta (allestita con pannelli che schermavano lo stesso ambiente dal quale erano “partiti”), il volo di andata era stato solo simulato.
Lo scopo della campagna era quello di indurre nei connazionali e nei potenziali turisti stranieri una reazione neuronale a specchio, stimolata dall’autenticità del divertimento degli ignari protagonisti, da emulare soprattutto per l’assoluta libertà da ogni forma di giudizio precostituito (tra i peggiori bias cognitivi, per chi si occupa di vendite) nei confronti della propria nazione che, a quanto pare, aveva molte più località sconosciute da riscoprire rispetto alle aspettative.
Dunque: alla base di tutto c’è il desiderio, il bisogno, e tutte le emozioni che risiedono nel cervello limbico, dove l’amigdala stimola la produzione degli ormoni dell’autogratificazione.
E proprio queste necessità sono da sempre oggetto di rappresentazione da parte di chi si occupa di comunicazione pubblicitaria, a cominciare dai vetusti modelli ideali delle prime campagne degli anni sessanta del secolo scorso, passando per la costruzione di status symbol, storytelling (ah… Quei celebri mini-film del Mulino Bianco), fino ad arrivare agli influencer, riferimenti di genuinità rappresentati da persone apparentemente comuni e capaci di interpretare i bisogni e i desideri delle persone ordinarie, al punto da determinare il prezzo dello zenzero per il decotto antinfluenzale o quello di un flacone di albumi d’uovo pastorizzati che, compreso lo stesso flacone, arriva a far costare quasi cinque euro quei cinquecento grammi di prodotto, l’equivalente di circa sedici albumi che sono stati scartati, in realtà, da un altro settore: quello dolciario. Meccanismi che hanno nel web un complice fedele che diventa una vera e propria rete da pesca, quando si tratta (dagli esperti di personal training alle cuoche casalinghe in tacchi a spillo) di fomentarne gli acquisti a suon di post su social e blog senza editori.
A riequilibrare tutto dovrebbe “pensarci” il cervello corticale, residenza privilegiata delle decisioni ragionate, a valle di una serie di processi logici come l’acquisizione e l’elaborazione di informazioni (non limitantisi a una semplice immagine, che non ha bisogno di particolari decodifiche), un lavoro che richiede più sforzo, maggiore analisi e, perché no, un po’ più di lentezza, tant’è che viene attivato solo volontariamente da chi agisce dopo aver valutato altri fattori, oltre le esigenze istintuali.
È proprio così, quindi: in campo di acquisti, le decisioni migliori richiedono maggiori energie, non solo economiche, e si prendono per provvedere ai bisogni, non per assecondarli.
Naturalmente questo non vuol dire che tutti gli acquisti d’impulso siano sbagliati, o che non si debba realizzare un sogno, regalarsi una consolazione: nessuno deve essere privato del diritto di provare l’ebrezza di aver comprato anche il più futile prodotto, purché sia sempre cosciente delle proprie scelte quotidiane.
Nella guida al consumo consapevole di Slow Food si parla anche del fatto che mangiare è un atto agricolo, e che fare la spesa è un atto politico: le nostre scelte hanno effetti sul modello di agricoltura, sulle politiche agroalimentari, sull’ambiente, sulla biodiversità. E le stesse aziende di piccola scala si stanno rendendo conto che è ora di smetterla di giudicare gli stili di vita contemporanei, sforzandosi a loro volta di adeguare l’offerta alle mutate condizioni della domanda, in termini di contenuto di servizio (vedi per esempio la consegna a domicilio, il preconfezionato, o le formule take away), di flessibilità di orari e via discorrendo. Uno dei temi più caldi, in questo senso, è la funzionalità del cibo: informazioni aggiuntive rispetto ai contenuti, che hanno fatto la fortuna degli oli per frittura, dei superfood e degli albumi di cui sopra, ma questo lo approfondiremo successivamente.
Nel fare la spesa dovremmo saper combinare piacere e responsabilità. Un percorso di apprendimento e di insegnamento sicuramente impegnativo, durante il quale ci vorremo concedere anche delle eccezioni, ma tranquilli e tranquille: capita anche ai migliori.
Come alla ricercatrice Chutima Ruanguttamanun che, al termine di una risonanza magnetica funzionale alla quale si sottopose volontariamente in prima persona, scrisse un magnifico elaborato dal titolo “Neuromarketing: mi sono messa in uno scanner per una fMRI e ho scoperto che mi piacciono da impazzire le pubblicità di Louis Vuitton”.
Fonti:
Aspetti evolutivi del neuromarketing – Ilaria Cerioni – Tesi di Laurea.
https://www.slowfood.it/wp-content/uploads/blu_facebook_uploads/2014/09/ita_guida_consumo_b.pdf
Quando il cervello è in anticipo e decide cosa fare almeno sette secondi prima
https://www.researchgate.net/publication/266205623_Neuromarketing_I_Put_Myself_into_a_fMRI_Scanner_and_Realized_that_I_love_Louis_Vuitton_Ads